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“Le parole che SENTO” è uno spazio di condivisione di testi per noi significativi, che risuonano con il nostro essere educatori e il nostro vivere e far vivere l’arte.


Il movimento nell’apprendimento

di Silvia Biferale

Il ruolo del movimento nei processi di apprendimento è oggetto di molti studi e ha già ricevuto grandi conferme dalla ricerca scientifica; il ruolo del movimento nei processi di apprendimento musicale è stato sempre considerato, sistematizzato da Dalcroze, rinnovato da Gordon e da molti altri ricercatori. Cosa potremmo dire ancora sul rapporto tra movimento e apprendimento musicale senza correre il rischio di ripeterci? Possiamo ripensare e ridefinire il movimento. Possiamo riconsiderarlo innanzitutto come esperienza sensoriale, come gesto o atto motorio che produce una variazione percettiva all’interno di un’intenzione relazionale. In questo senso seguiamo la strada indicata dalle neuroscienze le quali hanno condotto chiaramente la nostra attenzione sugli aspetti intersoggettivi della conoscenza intesa come quella capacità di trasferire significati da una persona all’altra utilizzando il corpo come veicolo di questo trasferimento e come luogo della prima forma di comprensione presemantica. Possiamo infine allargare il concetto di movimento introducendo il respiro e la voce come movimenti del corpo, come presenze corporee che si impongono sulla scena dell’apprendimento musicale non più solo come strumenti al servizio del processo in atto, bensì come materia stessa della proposta educativa. Come scrive Carlo Serra: “La voce è materia in movimento, e senza movimento non si da risonanza”29. Per questa e molte altre ragioni il movimento non è più soltanto lo spostamento di un corpo, o di una parte di esso, nello spazio in un tempo misurabile, ma un’esperienza sensoriale che modifica, prima di ogni altra cosa, la percezione corporea soggettiva all’interno di una dinamica relazione intra e inter soggettiva, inaugurando così un processo di conoscenza. Vorrei condurre questa considerazione sul movimento nell’ambito dell’apprendimento musicale e per fare ciò farò riferimento alla Music Learning Theory (MLT) di Edwin E. Gordon. La MLT si distingue nel ricco panorama dell’educazione musicale proprio perché ha affondato le proprie radici sul presupposto che la conoscenza della musica si realizza attraverso un complesso processo che vede il corpo protagonista e che lo sviluppo dell’audiation30 si inaugura con l’esperienza sensoriale dell’ascolto e a questa continuamente ritorna. Gordon ha anticipato tutto ciò che oggi sappiamo bene e lo ha fatto affidandosi all’osservazione diretta del bambino nel suo percorso di apprendimento musicale. Gordon scrive: “I bambini cominciano a rispondere al ritmo na- turalmente, con un movimento precoce, probabilmente perché il corpo conosce ancor prima che la mente comprenda”31.
La storia dell’educazione musicale in età prescolare è ricca di proposte di ascolto o di canto accompagnate da movimenti organizzati più o meno rispettosi dello sviluppo psicomotorio del bambino, movimenti di gruppo o individuali, piccoli o grandi, veloci o lenti. Battere le manine su un canto, “marciare” su un ritmo, dondolarsi o girare in cerchio tenendosi per mano sono tra quelle note a tutti. Riconosciamo a queste attività un valore importante per lo sviluppo delle competenze sociali del bambino, ma, se vogliamo rimanere aderenti ai presupposti accennati di considerare il movimento un’esperienza sensoriale di conoscenza, dobbiamo cercare di favorire un movimento diverso. Un movimento spontaneo e non indicato dall’educatore; libero in uno spazio-tempo soggettivo; esplorativo e non descrittivo; che nasca dall’ascolto e, a sua volta, faciliti l’ascolto. Un movimento a flusso continuo, per rimanere in ambito gordoniano, nel quale può vivere ogni contenuto musicale. Il compito più complesso di fronte al quale ci troviamo è quello di definire i contorni di questo movimento senza costringerlo in dogmatismi formali e senza intrappolarlo in precetti e divieti. Per fare questo ci viene in aiuto il movimento del respiro: è il primo movimento a flusso continuo che accompagna tutta la vita; coinvolge il corpo intero attraverso il lavoro delle catene muscolari dei muscoli accessori della respirazione; è la materia prima del suono; mantiene vivo il silenzio con la sua presenza impalpabile eppure estremamente materica. Il respiro diventa a tutti gli effetti protagonista della relazione educativa. Il respiro dell’educatore che scandisce la sua presenza nello spazio e nel tempo, che anticipa un canto e lo conclude, che si fa esempio di una futura coordinazione tra respiro, movimento e voce. Il respiro da cui è mosso il bambino nelle prime esplorazioni musicali fino al raggiungimento della propria coordinazione vocale o allo strumento. Un movimento, quello del respiro, che alterna la disponibilità a lasciare en- trare l’aria con la creatività del lasciarla uscire, capace di attendere nella pausa l’inizio di un nuovo ciclo respiratorio. Un movimento in bilico tra consapevolezza e distensione in grado di costruire ogni volta una rinnovata condizione di accoglienza e di trasformazione. Nella pratica educativa secondo la MLT l’educatore canta per i bambini un brano breve, senza parole, ricco di tutti i contenuti musicali, e non solo, accurata-mente individuati da Gordon come quelli fondamentali per favorire il processo di apprendimento musicale. Fin qui niente di nuovo. In realtà molto accade già in questa semplice offerta di ascolto. L’educatore avrà infatti cura di far precedere il canto da una inspirazione, meglio da un “lasciare entrare l’aria”, da una dichiarazione espressa nel linguaggio corporeo di accoglienza e di ascolto reciproco. Non c’è un soggetto che canta e uno che ascolta, ci sono due soggetti impegnati in una relazione di ascolto. L’educatore sarà poi attento a chiudere il canto con una nuova inspirazione. La musica finisce, ma solo quella fisicamente presente per- ché in realtà il nuovo inspiro annuncia che la musica ancora vive nel nostro corpo e nella nostra mente. Ci permette di tenere viva la relazione di ascolto anche quando il canto è finito. Il respiro si muove su quel che resta del canto e mette così in moto i processi di apprendimento. Il bambino resta legato a quanto ascoltato, vorrebbe che fosse ancora vivo e per superare l’assenza comincia a ricrearlo dentro di sé. In questo modo nasce e si sviluppa il processo di audiation, il processo di conoscenza della musica a cui aspiriamo. Il movimento del respiro dell’educatore crea lo spazio-tempo del dialogo sonoro, una rete sulla quale il bambino potrà appoggiare i suoi primi tentativi vocali. Il silenzio che segue la proposta musicale sarà in questo modo non solo denso della presenza dell’educatore, ma resterà in movimento, non rimarrà fermo in una posizione di attesa di una risposta, non si lascerà sedurre dalle aspettative, ma proseguirà nel suo ciclo vitale tra presenze e assenze favorendo così il processo di trasformazione di cui ogni atto creativo è intessuto. Rimanere in ascolto del movimento del respiro ci ricorda che educare alla musica significa prima di tutto con- dividere un’esperienza creativa, di trasformazione, un’esperienza di conoscenza che si muove dal noto al non noto, così come il respiro ci muove da dentro a fuori del nostro corpo. Ci permette ancora di non dimenticare che favorire un processo di apprendimento musicale non è “semplicemente” favorire un processo di acquisizione di competenze musicali, ma è soprattutto educare al piacere e al gioco dell’espressione di sé. 


29 C. Serra La voce e lo spazio Il Saggiatore, Milano 2011, p. 100.

30 Si veda l’articolo di Borsacchi “Gli stadi dell’Audiation preparatoria” in questo numero.

31 E. E. Gordon, L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età prescolare, Edizioni Curci, Milano 2003, p. 18.

Il movimento nell’apprendimento è estrapolato dalla Rivista Audiation n. 0/2014